Il 4 Luglio 1776 cinquantacinque rappresentanti delle tredici colonie britanniche, siglarono la “Dichiarazione d’indipendenza”, la bozza della prima costituzione al mondo in cui si ponessero in rilievo, per la prima volta in assoluto, diritti umani finalmente considerati inalienabili.
“Noi riteniamo che sono per sé stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”.
Dallo stralcio di dichiarazione sopra riportato sono apprezzabili tre elementi irrinunciabili da cui l’essere umano non può prescindere: il diritto alla Vita, alla Libertà e alla ricerca della Felicità.
Non è semplice dare un profilo al concetto di felicità: è una sensazione che vagamente riusciamo ad interpretare, un desiderio di appagamento scritto dentro di noi, nella nostra “costituzione”, e come tale vogliamo raggiungerlo. Lo inseguiamo senza sapere bene dove trovarlo, eppure corriamo verso l’illusione che una volta trovato saremo soddisfatti. Per questo ci affanniamo, tra un’impresa e l’altra.
Il mondo intorno a noi ci propone costantemente slogan per una vita appagante, del tipo: “è di te che hai bisogno, amati un po’ di più” o anche “Cosa gratifica di più tra il soddisfare il desiderio di maternità e l’assalto ad una carriera remunerativa?” “Va bene una moglie o un marito, ma il matrimonio è una gabbia.” “Ho deciso, mi trasferisco. La grande città assorbirà tutto il mio tempo, ma mi darà tante opportunità.” Cerchiamo di renderci felici incoronando i sogni, con l’aumento del denaro, forse la creazione di una famiglia e una stabilità o più sesso, più cibo, più popolarità, ma come diceva qualcuno “avere il di più di una cosa che già hai e che non ti rende felice, non aggiungerà felicità”.
Proviamo a domandarci: dovrei essere felice per qualcosa solo perché ha reso felici i miei genitori e i miei nonni prima di loro? Per soddisfare gli standard che la società mi ha imposto e ai quali devo “sopravvivere”? Il desiderio è figlio dei venti, si muove con le correnti. È assurdo pensare che qualcun altro ha scelto per noi cosa deve renderci felici.
Parliamoci chiaro, le persone sono in affanno rispetto a una pace che spesso ricercano in posti e in persone sbagliate. La vera felicità esiste, non siamo stati creati per ricercare qualcosa di irraggiungibile. Sarà che forse stiamo forzando la nostra chiave in serrature sbagliate?
Sai, la Bibbia, la Parola di Dio, è uno di quei posti in cui si parla di felicità e forse potremmo vedere cosa ci dice a riguardo.
In questo libro, la parola gioia (con i suoi sinonimi) ricorre più di 250 volte e il concetto di gioia è presente già al momento della creazione di tutte le cose, attraverso il grande senso di soddisfazione che Dio provò:
“Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono…” (Genesi 1:31)
Era tutto perfetto, ma la disubbidienza dell’uomo ha spezzato quell’equilibrio. La nostra natura spirituale è stata corrotta dal peccato che ha portato con sé conseguenze negative, tra cui l’insoddisfazione, tramandata fino a noi. Ciò che causa questo sentimento è una falsa visione della vita in cui si dà valore all’egocentrismo umano che crea false esigenze, falsi modelli e false soluzioni per soddisfare la sete di appagamento.
Ecco perché siamo insoddisfatti. Ecco perché siamo infelici. La gioia che troviamo anche nelle esperienze comuni come lavoro o famiglia non è sempre duratura, anzi, talvolta può trasformarsi in una sofferenza così forte da farci dimenticare quando e come abbiamo gioito per quell’esperienza.
C’è una felicità che invece resta immutabile, non si trasforma. È perfetta perché è quella che viene da Dio. Egli infatti ci ha creati per essere felici, è stato Colui che ha messo nei nostri cuori questo desiderio.
Possiamo vivere pienamente nella gioia quando la relazione con Lui, interrotta dal peccato, viene restaurata. È una felicità che non cade addosso, ma è il risultato di qualcosa che lavora in noi e che ci trasforma nel grado in cui Dio sarà presente nella nostra vita. È una felicità completa e, nonostante questo ci basti, ogni cosa che ci procura sana gioia su questa terra è dono Suo!
Ciò che ci impedisce di godere appieno di questa felicità perfetta è la nostra capacità umana di barattarla con qualunque altra cosa ci possa dare momentanei stimoli. Ci accontentiamo facilmente. Mettiamo in disparte un dono immenso e promesse eterne per piaceri temporanei. E quando affronteremo lo scoraggiamento?
È scritto nella Bibbia di un uomo che venne incarcerato ingiustamente perché parlava della salvezza di Gesù; quest’uomo era l’apostolo Paolo e dall’angusta prigione nella quale era detenuto scrisse una lettera a dei cristiani di Filippi, cui teneva molto.
“Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me” (Filippesi 2:17-18).
Paolo è incarcerato, non ha commesso crimini, ma la sua gioia è più grande. Potrebbe essere ucciso, ma la sua gioia è più grande.
Può questo sentimento competere con la paura della morte, con la sofferenza fisica e col rammarico di essere detenuto senza aver commesso colpe? La testimonianza di Paolo parla forte, quasi a dire che l’essere lì per aver servito Gesù gli recasse una soddisfazione maggiore delle sofferenze di una prigione.
C’è soddisfazione nella vita di chi sceglie Dio, pur non mancando prove e difficoltà possiamo essere certi della sua perfetta consolazione, del suo amore confortante e della sua ricompensa senza eguali.
Chissà come potrebbe cambiare la mia vita se accettassi di ristabilire la mia relazione con Dio. Realizzare la gioia perfetta, questa speranzosa certezza di fare la cosa giusta. La risposta è nel Suo libro. Non è nascosta ed è per tutti. Vale la pena sacrificare del tempo per confrontarmi con Colui che dispensa questo sentimento?